Testo di Anty Pansera dal catalogo di mostra MIXING – Il Granaio, Deruta (PG)
Dal 3 al 18 dicembre 2022
Materiali e poetica creatività
È una ricerca intrigante, questa di Caterina Ciuffetelli, che mi ha attratto soprattutto per il suo sperimentale, libero, utilizzo di non pochi materiali, dalla corda al filo alla stoffa – o della textile art, allora – , ma non solo: dal gesso all’intonaco, dalla sabbia (o della scabrosità) alla carta (o della trasparenza), dalla fotografia alla lana di pecora (o della casualità di un incontro), dalla foglia d’oro al polistirolo, all’alluminio (o della sua mutevolezza), al cellotex (impasto di segatura e colla dalle molteplici textures),…eccola mettere alla prova un’articolata serie di materiali, “poveri”, e molti di utilizzo industriale, potremmo sottolineare.
Caterina raccoglie, assembla, ritaglia, modifica: utilizzando diverse tecniche (anche il ferro da stiro: perché no?), mettendo in gioco la sua esperienza e rapportandosi di volta in volta, a seconda delle necessità, a quella grammatica e sintassi compositiva che le permettono di approdare a poetiche composizioni. E a domare il caos della materia attraverso la forza dei segni (diagonali, mediane, centrali, pesanti/leggeri, corti/lunghi, sottili/spessi… colorati), creando inaspettati pattern ed arrivando a trasformare le geometrie – “dei sentimenti”, (Roberto Gramiccia, 2022) -, in alfabeti.
Geometria, dal latino: geometrĭa e dal greco antico: γεωμετρία, il prefisso geo che rimanda alla parola γή = “terra” e μετρία, metria = “misura”, tradotto quindi letteralmente come “misurazione della terra”, allora, ovvero quella parte della scienza matematica che si occupa delle forme nel piano e nello spazio, delle loro mutue relazioni, dei nostri contesti e che, per Caterina, è “calda, parlante, affatto spigolosa. Una geometria che suggerisce lo spazio, l’ordine; la separazione e il congiungimento, la distanza e la vicinanza”.
Figlia di sarta ha anche nel suo DNA la sapienza del saper distinguere la natura dei filati, da intendersi in senso lato, “un’eredità acquisita tacitamente”, ricorda. Il filo, il cucito – “E il cucire è ri-cucire il mondo, richiudere le ferite/strappi, ricongiungere gli estremi per una nuova configurazione che tende alla completezza”, appunta Caterina -, e allora ponti, raccordi, “reti”: e quella tridimensionalità che comunque caratterizza i suoi lavori.
E si è già ben scritto di come, nel suo progettare/creare, il rapporto tra materia e segno sia basilare: appartiene alla sostanza del suo racconto. Di fatto, vuol dar voce, far parlare, la reale fisicità/inerzia dei suoi primari strumenti espressivi: e così ricorre a segni calligrafici – piccoli o grandi, curvilinei, spezzati, scavati o appena graffiati a rilievo, comunque restituiti mutevoli dalla luce (a dirla con Marco Testa, 2007) -, ma che “non dipinge, ma tesse”, come ha puntualmente scritto Arcangela Miceli.
E forse proprio Tra-mando (2020), dalla trama lacerata ed interrotta, ben testimonia le sue felici metafore. Così, recentemente, Ritagliare lungo la linea tratteggiata (2021), che è quasi una riposta al lock-down: stoffa, carta, ago e filo, per riparare, per ricostituire legami.
Alle spalle dell’artista, una formazione forse un po’ particolare, allieva di quell’Umbro Battaglini (il nome proprio a celebrare il suo genius loci e un orgoglio identitario), interessante figura di architetto/ urbanista/designer ma anche scultore e pittore, che le ha insegnato serietà e rigore.
Agli esordi, Caterina – aquilana di nascita ma poi ternana d’adozione -, all’insegna della pittura, coniuga colore e forma/ forma e segno/ segno e movimento (e siamo nel 2003, quando la presenta Mino Lorusso): “la Ciuffetelli guarda a Burri (il cellotex!) e alla Accardi con grande ammirazione; tuttavia, riesce ad elaborare un proprio patrimonio ideale del tutto originale […] In lei la complessità… si semplifica e magicamente, grazie al colore, diviene poesia”.
Numerosi i cicli di progetti/realizzazioni che ha affrontato nel tempo: in Prehistoric (2017), così, è esplicito il rimando a “segni” archeologici, linguaggi dimenticati, a civiltà del passato ma con un’attenzione alla contemporaneità. Con Diagram (2017/2018), Caterina, forse, svela una sua maggiore interiorità, una sua tensione a mettere ordine, ad organizzare/“mettere in regola” la realtà. Tessere ricavate da un lavoro di frottage, caratterizza poi, Mosaic (2018): “Il mosaico ha in sé il concetto di ‘insieme’ e i tasselli […] sono gli elementi che lo costituiscono” (è sempre Caterina), tasselli del tempo.
E questi tre cicli – risultato di un paio d’anni di lavoro -, all’insegna di “Il tempo e il suo ordine imperfetto”, sono stati proposti dalla Galleria Forzani di Terni (giugno 2019).
Dello stesso anno, una serie di opere dalla scrittura indipendente da ogni significato semiologico: ed ecco il ciclo Asemic, opere dal “nessun specifico contenuto semantico”, a celare il significato, sollecitando la partecipazione del fruitore. E così il suo libro d’artista “Alphabet” (commissionatole dall’Archivio di Comunicazione Visiva e Libri d’Artista di San Cataldo-CL), un libro/oggetto che è entrato a far parte di quella particolare/originale collezione – voluta e curata da Calogero Barba, artista e operatore culturale -, che annovera rari esemplari concepiti e realizzati dalle maggiori figure artistiche delle neoavanguardie internazionali.
Il progetto/ciclo di pezzi esposti in questa chiusura del 2022 a Deruta, ospitati da Attilio Quintili e da “freemocco”, si intitola Mixing. A caratterizzarlo quel frottage “che mi aiuta a rintracciare segni parlanti da un altro luogo che non è necessariamente il passato bensì un ‘altrove da qui’, sconosciuto e misterioso” (Caterina Ciuffetelli), qui su carta su cellotex: e al pezzo che da nome al ciclo, si affiancano Circle, Mosaic3, Squares, Quadrante nonché il monotipo e tecnica mista su cellotex Non siamo isole.
Ma ecco anche Kaleidoscope, felicemente realizzato in alluminio su faesite che gioca su elementi triangolari volutamente non regolari, a sfruttare le caratteristiche di lucentezza ed opacità di questo materiale scelto per “il [suo] continuo modificarsi a seconda del punto di vista e della luce che lo colpisce dando un effetto di movimento continuo [che] mi aiuta a sviluppare il concetto di inafferrabilità” (puntualizza Caterina).
E De multiplicitate (specchio su compensato): due opere che ancora una volta inducono a pensare e a riflettere, su quella complessità che di fatto rappresenta – positivamente e poeticamente -, la cifra ( e il mood) di tutti i lavori che, negli anni, hanno caratterizzato l’intenso/fattivo percorso di questa artista che con i suoi interventi, dai segni calligrafici che variano/mutano nelle diverse loro materiche stratificazioni, continua a segnalarci, con indubbia forza etica, i cambiamenti/adattamenti che il tempo ci impone.
Ancora una volta Caterina indaga la materia, con grande competenza, per mettere in luce/in scena, con sapiente capacità, quell’effetto visivo che permette l’emersione del “suo” vocabolario: segni che, sobriamente, si intersecano a confluire in una sua personale proposta estetica. In un dialogo, ancora una volta, la sua parte razionale (il materiale) e la sua creativa fantasia: minimo comun denominatore la sua curiosità visiva.
Con Mixing, si ribadisce la sua perseveranza nel riflettere in un suo privato che tende comunque a dialogare/mettersi in contatto/al servizio di tutti dunque, per certi versi, ad un’universalità di condivisione, e nel contempo il suo attaccamento/dedizione al “fare con le mani”, una scelta voluta e poetica. [Anty Pansera, Storico e critico, Presidente di DcomeDesign]
MIXING riconcepire in Arte
DI DIZZLY · 27 DICEMBRE 2022
MIXING Caterina Ciuffetelli, Deruta 2022, curata da Anty Pansera.
Caterina Ciuffetelli l’abbiamo scoperta, almeno noi di AinT, nel Senso di Iron, la piccola fabbrica di ferro mostra aperta a diversi significati con l’unica condizione per gli artisti di usare un oggetto «ferro da stiro» per le opere. Lei, dopo Tabernacolo 2022 l’opera di Iron, ha così aperto di nuovo la sua camera delle metamorfosi in Mixing, stirandoci le idee sull’arte sperimentale: tecniche miste, e composizioni in cui l’elemento materia disponibile – nel mix contemporaneo – determina la fissazione di nuovi elementi e ricerca di nuovi paradigmi sull’equilibrio delle strutture emotive, attraversate da dilemmi naturali riconcepiti. Dunque l’artista ri-concepisce. Accattivante nel metodo, paziente tempo non tempo, in cui l’artista ricrea la dimensione del regno abitato odierno e le sue sovrastrutture. Ne stila i nuovi codici, ne calca textures per una archeologia del futuro: gesso intonaco cellotex sabbia carta alluminio polistirolo filo stoffa. Deh! Caterina piace perchè la sua ricerca attiene al rigore, poco figurativo, e un ampio margine per considerare la sua arte un’architettura piana. Una mappa con indici e legende di presenze, strategie di materie. Eppiù di superfici che prendono volume e luce inaspettati a mostrarci riflessi cangianti allo sguardo sensibile dell’occhio che sente.
Un fermo immagine del tempo, dice l’Artista: il mio lavoro, è un lavoro molto lento, e mi sono ritrovata a scoprire che il mio tentativo consiste nel provare a fermarlo, ma non illusoriamente; fermarlo proprio come percezione. Sta a noi vivere il tempo in modo accelerato oppure darci il tempo di contemplare, quindi fermarci, e devo dire che in questo caso il lavoro mi inchioda e mi aiuta a fare questo.
Con NON SIAMO ISOLE (2018) un mosaico di 300 presenze e sedimenti frottage su carta e cellotex, QUADRANTE 2019 sul tempo cronologico e la sfida alle difficoltà delle composizioni che invitano allo studio della minuzia, il dettaglio; KALEIDOSCOPE (2020) lucido e opaco nell’esercizio a ricomporre, a riconcepire come detto in apertura, lo spazio e l’impressione in frammenti di alluminio, e fino a DE MULTIPLICITATE (2021): ammaliare con gli specchi, e il dinamico movimento a spirale, quasi frattale degli specchi, l’artista con la sua ricerca, riesce a trasmettere la cifra di slancio in avanti dell’uomo contemporaneo; a ben vedere per scelta culturale la rinuncia al figurativo (della femminilità), piuttosto con gesti sulla sicurezza propriamente “estetica” di un futuro, e di esperire al contempo la forma all’interno del quadro con edificazioni in cui si addensa una realtà aperta in un continuo servire e servirsi a divenire. Come Caterina fosse al contempo sé e la sua ancella. E un certo medium. [Daniela Zannetti]
Testo di Angela Ciano dal foglio di mostra SEGNI TRAME SOGNI
Associazione Culturale F’Art – L’Aquila
Dal 29 agosto al 24 settembre 2022
Tracciano segni. Compongono trame. Inseguono sogni. Tre artiste, tre donne, Caterina Ciuffetelli, Donatella Giagnacovo e Silvia Giani, espongono insieme per dare vita ad un percorso di segni e trame dalle mille sfaccettature che danno forma alle loro ispirazioni e ai loro sogni.
Le opere esposte in questa mostra, dall’evocativo titolo Segni Trame Sogni, conducono lo spettatore in un viaggio fatto di linee, forme, colori in cui le tre artiste dialogano tra loro attraverso scelte individuali ed uniche. Ognuna ha la sua cifra e il suo linguaggio, nessuna deve qualcosa all’altra ma insieme danno vita al sogno insito nella creazione, disseminando l’itinerario espositivo di segni che creano trame e racconti.
E’ sogno l’azzurro intenso e declinato nelle sue tante possibilità usato da Caterina Ciuffetelli che ha concepito per questa mostra, un ciclo nuovissimo, dal titolo Azzurro appunto, dedicato all’Aquila, sua città natale lasciata molti anni fa per l’Umbria, che nasce da un riflessione sui tempi difficili e densi di sfide drammatiche che stiamo vivendo.
E’ sogno il caleidoscopico mondo di Silvia, fatto invece di colore dalle tinte forti e contrastanti ad evocare momenti e tempi immaginifici, dove la sacralità del saper fare dell’artista fa risorgere, attraverso il riutilizzo di materie di scarto soprattutto tessuti, momenti di bellezza perduta.
E’ sogno l’uso di un bianco dalle mille sfumature, etereo o denso che crea opere intrise di materia oppure leggerissime; un colore non colore quello scelto da Donatella per riflettere, anche attraverso l’uso delle parole, sulla condizione umana. Opere di una bellezza diafana che asseriscono concetti urgenti.
Insieme Caterina Ciuffetelli, Donatella Giagnacovo e Silvia Giani raccontano la loro creatività attraverso opere che sono presenze forti e ci parlano dell’indecifrabile momento del fare artistico che altro non è se
non sogno inteso come momento culmine e conclusivo del percorso creativo.
Fare arte come azione urgente che conduce il pensiero in profondità, a percorrere strade sempre nuove per narrare ognuna il proprio mondo. Ognuna con le sue peculiarità, Silvia Donatella e Caterina insieme ci raccontano l’essere umano capace di superare momenti drammatici, capace di interiorizzare ma anche di denunciare la bruttezza intesa in tutte le sue espressioni, capace di far diventare materiali di scarto “testata d’angolo”.
E cos’è l’arte se non tutto questo?
Nel suo ciclo AZZURRO, Caterina Ciuffetelli, intreccia il colore con filo di iuta a creare percorsi e labirinti che lanciano sfide continue allo spettatore, nella consapevolezza che attraversare le cose che accadono deve condurre alla contemplazione-riflessione che serve ed aiuta a guardare avanti, a superare le prove per affrontare il futuro con rinnovata fiducia; non a caso l’azzurro per Wassilly Kandinskij è l’elemento della quiete che richiama l’uomo verso l’infinito. Il messaggio che l’artista ci invia è libero e positivo; attento ad unire al bello del colore e delle materie scelte, l’estetica quindi, una attenta riflessione sulla condizione umana di fronte alle sfide che la storia pone, l’etica quindi “…in queste opere – scrive Caterina Ciuffetelli – parlo della contemplazione come insperata e salvifica possibilità di approcciare il mondo. Contemplazione non opposta all’azione bensì in grado di cambiarne il verso, se necessario”. E’ questo il sogno a cui anela l’artista creando opere che al primo sguardo sono segni che vivificano trame.
C’è la stessa riflessione sulla condizione umana, ed in particolare su quella femminile, nelle opere di Donatella Giagnacovo, dove il colore predominante, che è poi la sua cifra stilistica, è il bianco. Il bianco in arte è il colore scientifico e psicologico in assoluto, una non pigmentazione che allude ad una informalità perfetta; per Donatella il bianco è un
contenitore di concetti che viene rafforzato, in alcune delle opere esposte, attraverso l’uso della parola. Il monocromo perde così la sua uniformità arricchendosi grazie all’uso di materiali tra i più disparati (piume, garze, plastica, paglia), mostrandosi a volte candido e diafano simbolo di purezza e leggerezza, a volte intriso di messaggi che inevitabilmente richiamano alla riflessione. Sono opere che restituiscono immagini dove la parola serve a ribadire il concetto espresso attraverso un gesto creativo che scava nella psiche umana, inchiodando lo spettatore al ragionamento.
Diverso il mondo artistico di Silvia Giani che ha in comune con quello delle compagne di questo viaggio, l’urgenza di sperimentare attraverso le materie più disparate. Nel caso di Silvia si tratta di pezzi scartati o semplicemente messi da parte da una società votata al consumismo sfrenato che diventano tasselli preziosi del suo fare artistico. Sono soprattutto i tessuti, scarti di lavorazione delle aziende o ritagli di vestiti dismessi o fuori moda, a ispirare i suoi lavori. Lo scarto diviene così matrice di un percorso di creatività, stimola accostamenti cromatici e geometrici “…il processo creativo – scrive Silvia Giani – nasce dalla necessità interiore di ricomposizione della forma del ritaglio (di stoffa ndr) consentendogli una seconda vita e si sviluppa nella ricerca di un ritmo nell’apparente disposizione casuale delle cose”. Su tutto una grande capacità e maestria artigianale che unita alla riflessione estetica, da vita ad opere in cui la ricchezza e la preziosità del colore e della materia rimandano a visioni di bellezza ed eleganza dove mistica e arte si fondono per mostrare al visitatore che mondi altri, fatti di splendore e maestria, sono possibili.
Segni Trame Sogni è un viaggio nella funzione taumaturgica dell’arte che crea bellezza in tanti modi diversi, senza però dimenticare che, in fondo, il bello è intorno a noi, basta saper guardare per creare mondi. [Angela Ciano]
“Una forza gentile” di Roberto Gramiccia dal foglio di mostra ARTISTE UMBRE: CIUFFETELLI- FRILLICI – MOMUSSO GALLERIA DELLE ARTI di Luigi Amadei – Città di Castello (PG)
19 marzo – 6 aprile 2022
Corda di canapa su carta intelata per cinque intriganti lavori che Caterina Ciuffetelli oggi ci regala con l’abituale, irresistibile estroversione. Opere di dimensioni medio-grandi, poste l’una accanto all’altra: un’efficace mappatura del viaggio di un’artista che detesta l’autocompiacimento (anche formale). E che, al contrario, non si stanca di indagare la materia, di far affiorare di essa il segreto vocabolario, di comunicarne la sintassi e la poesia, non senza modellare tutto questo sul profilo di una sua personale proposta estetica. Una dichiarazione di intenti che si propone con un’energia e un’autorevolezza attribuibile con fatica a una figura minuta, gentile e sorridente come la sua.
Dietro il sorriso di Caterina Ciuffetelli, c’è il carattere e il talento di chi ha maturato, dopo anni di ricerca, una familiarità assoluta con il proprio mestiere. Perché è il caso di ribadire che quello dell’artista è un mestiere. Fatto di testa e di cuore ma anche di conoscenza delle materie e di sapienza nella gestione del segno che le solca e del colore che, nel caso di Caterina, se pure con sobrietà e autocontrollo, recita, come sempre in pittura, la sua parte in commedia da protagonista.
In questa occasione, ma direi sempre nelle superfici pittoriche di questa artista, si rintraccia un sorprendente scarto fra la semplicità delle trame e l’efficacia di un effetto visivo che scava nel profondo. Lo fa, in questi lavori soprattutto, ricorrendo a una “geometria della forma” che sembra tradire la propria rigida autoreferenzialità e aprirsi ad un mondo persino giocoso; sembra, cioè, tramutarsi in “geometria dei sentimenti”. Che è un dialogo bello e produttivo. Come quello che sempre dovrebbe apparentare l’arte e la scienza, la fantasia creativa e la ragione. [Roberto Gramiccia]
IL TEMPO È UN CAMALEONTE di Cinzio Gilioli 2020
Ho proposto all’artista e amica Caterina Ciuffetelli di recensire una sua opera che mi ha particolarmente colpito. Ha accettato e di questo la ringrazio. La tavola che ci si presenta davanti dà il senso della densità e della pesantezza, screziata di una geografia indecifrabile e stratificata con materiali diversi, pronta ad accogliere incisioni. Già in questa premessa si ravvisa la metafora del Tempo su cui l’uomo vuole incidere o si illude di farlo, per dire la sua o lasciare traccia di lui come rito apotropaico contro l’oblio. L’illusione non è soltanto la traccia incisa ma anche il tempo, come categoria aleatoria indefinibile, dipendente da altre, senza le quali se ne smarrisce il senso. IL TEMPO È UN CAMALEONTE è il titolo dell’opera dell’autrice. Ma torniamo al suo ultimo lavoro. Si diceva “stratificazione”, che non a caso è un paradigma degli studiosi del tempo: gli archeologi. Il tempo come primo soggetto della stratificazione e gli strati nascondono tracce o le rivelano incidendoli. La tavola è incisa e l’incisione accoglie una corda che traccia, evocandolo, il camaleonte. Questa incisione dunque ci prefigura il cambiamento, l’evoluzione, l’adattamento, tutte declinazioni che rimandano alla scansione temporale, senza la quale nulla di tutto questo potrebbe accadere. Nel piano cartesiano emerge uno sfondo ineludibile come rilievo insondabile di un intreccio delle vicende umane. Il rimando non può non essere di ancor più ampio respiro, fino a coinvolgere l’intera esistenza, alla quale inevitabilmente pensiamo, osservando l’opera allegorico/evocativa di sapore esistenzialista. L’autrice parla sempre al fruitore dell’opera dandogli del tu, invitandolo a una colloquialità più intima. Ogni convenzione svanisce e l’arte meditata deve scuotere, indurre auspicabilmente una crisi che, etimologicamente (dal gr. Krisis: scelta), rimanda a un bivio. E noi che strada imbocchiamo? Quella consolatoria della convenzione, che magari ci fa dire che un’opera non ci piace solo perché non la capiamo, oppure quella che l’autrice suggerisce? Ovvero accettare lo sgomento come stimolo alla nostra evoluzione anche nel breve lasso di tempo in cui il nostro sguardo ha percorso la coda del camaleonte. Rimane un dubbio: la coda del camaleonte finisce in una
spirale, non va più avanti nell’asse cartesiano del quadro, come una cesura in una evoluzione illusoriamente senza fine. Ma per sciogliere il dubbio dovremmo chiederlo all’autrice. Un ultimo appunto mi pare necessario: quella che ho chiamato “geografia indecifrabile” non ha nulla di detrattivo nelle mie intenzioni, anzi, ne intravvedo le commistioni dell’umanità, del suo pensiero con le morali contraddittorie che trascina con sé, delle sue etnie, dei suoi conflitti, reali e ideali e tutto questo confluisce in un indistinto grigio come somma di questo “caos” che è ben rappresentato nello sfondo dell’opera suddiviso in quattro riquadri come diverse ere accomunate da un’apparente tumultuosità in un grigio disomogeneo, come fossero tanti colori non ben amalgamati, nati dalla stessa tumultuosità, che tuttavia conservano un “caro ignoto” come affascinante enigma. [Cinzio Gilioli]
Il tempo è un camaleonte – Corda su MDF – cm 71X33 – 2020
Testo di Arcangela Miceli dal foglio di mostra CLOCK – Showroom Arredare Designed Space, Terni – 2020
Caterina non dipinge, tesse le sue tele! Non l’ho mai vista all’opera ma la immagino mentre compie gesti antichi: raccoglie, assembla elementi, ritaglia con cura bordi e fili, pulisce, spiana, guarda le sue “tele” con tenerezza di madre e con autorevolezza di dea. La sua tela “Rolling” da oggi “buca la parete” del soggiorno al centro dell’arazzo di mia madre (tessitrice di seta e di telaio) ed è un dinamico vortice che ti trascina all’infinito, e che dall’infinito porta luce, pace, futuro. “Mancava” ha detto Caterina visibilmente commossa, mentre facevo le prove per trovare l’altezza giusta al “mio” amatissimo Rolling.
La mostra (allestita con gusto, armonia, cura) si “svolge” come il percorso di un viaggiatore che prende il largo ma è ben ancorato alla terra. I primi due lavori, di un avvolgente blu mare, sono vele quadrate, con annessa “mappa oceanica e computer di bordo”, capaci di portarci negli “oceani della tranquillità”. A destra, con una certa discrezione ma con prorompente dinamismo, anamorfiche bollicine riproducono trasparenze di fiume, di sabbie dorate. poi frammenti, fenditure di luce risucchiano l’ombra e ci fanno dimenticare l’oscurità
Sospese, due opere “che si danno le spalle” e ti invitano a “girare intorno”, a ruotare, a tornare indietro e trovare Seams (imbastiture) e sono cielo, mare, abisso, onda, Hole (ho tradotto vortice!), Seams (ho tradotto attaccature!) e tu sei come non mai navigante di te stesso.
E, dopo una emozionante croce di Sant Andrea, con i punti cardinali che evocano fasci infiniti di radiazione luminosa, calda che dalla terra porta direttamente negli inesplorati spazi dell’essere, si incontra la grande spirale (io la chiamo così, dopo essermi “accaparrata” la piccola spirale, che accompagna le mie piccole evoluzioni quotidiane, e il ritiro nelle mie ctonie tane del passato). Lei lo ha chiamato L’inizio e a me, con una prepotente suggestione, mi si è dispiegata la frase, “ Au commencement c ’est la beauté”, a commento di uno straordinario balletto di Maurice Bèjart, che partiva dallo srotolamento di un tappeto in cui dentro si trovava una crisalide-ballerina, Ecco la grande spirale si “muove”, secondo un incessante ritmo di esplosione e di implosione, una sorta di Dna dell’universo, “danza” nella tela e srotola felicità, mistero, culla, principio, grembo della terra ed ellisse del cielo. .
Poi arriva la bussola che lei ha chiamato “Direction” (è curioso si dice così sia in inglese, che in francese che in spagnolo!) e anche per me è come se fosse una freccia, un orientamento che ti invita ad immergerti nell’azzurro, non senza essere passati da due segnali, criptici, semplici, immediati, (Caterina li ha intitolati “Passaggi”) che sono comunque tracce antiche, di una terra feconda, di una divinità madre che nel suo grembo antico nasconde l’azzurro e la luce, una azzurra luce che esplode nella sala attigua dove l’arcaicità è di casa e dove il passato e il futuro si congiungono nei misteriosi codici–di un asimmetrico rombo di luce che esce, nasce dalla tela e ti travolge.
Del Novantanove. Il numero 99 è un numero molto potente, composto dalla vibrazione raddoppiata e dall’energia del numero 9, che rappresenta, come ho tratto da varie fonti “esoteriche”, la forza interiore e la saggezza, la comunicazione, la leadership, l’esempio positivo, l’intuizione, l’umanitarismo, il risveglio spirituale e l’illuminazione spirituale, l’altruismo, il servizio agli altri, le Leggi spirituali universali, il lavoro di luce e lo scopo della vita divina e dei bellissimi segni/alfabeto (mi manca la foto ma ce l’ho ben presente il giorno che l’ho fotografato, Caterina lo aveva poi portato a Roma, il titolo di questo magico quadro è “Asemic” che non ha dunque un contenuto semantico specifico).
I segni/contrassegni, si rincorrono secondo un ordine preciso, in una chiara sequenza.frase [non si ripetono come i 99 quadratini o come le tessere rettangolari che ricordano, con emozione e commozione le paleolitiche pietre scheggiate, i percussori e chopper (Un ciottolo (chopper), generalmente di selce, viene scheggiato su una sola faccia da un altro ciottolo che funge da percussore, con un colpo perpendicolare alla superficie.
fonte Museo Apve (associazione pionieri e veterani eni) via Piana delle Orme – Roma)) I reperti sono stati donati al Museo da geologi che hanno lavorato con l’Agip Mineraria nei deserti del Nord Africa (Marocco, Algeria, Tunisia e Libia)]
ma parla all’interiorità con la forza di un “Codice dell’anima (Ho rubato il titolo a James Hillman! Psicologo analista junghiano, americano di nascita ma europeo di cultura).
Si diceva che, in questo azzurrissimo e accattivante quadro, i segni/lettera sono un vero e proprio alfabeto, come quello individuato dall’ archeologa Marija Gimbutas, nel suo 2° volume dedicato alla Civiltà della Dea (M.Giumbutas, Il mondo dell’antica Europa -Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, nel quale la filosofa –archeologa prefigura l’esistenza nel corso di 25.000 anni di civiltà matriarcali in Europa, l’ipotesi di come siano nate le prime forme di scrittura)
Lettere “pescate” dalla memoria ancestrale di questa “visionaria” eppur reale artista che si muove con disinvoltura tra passato e futuro in un’armonia di segni essenziali e di evocazioni poetiche.
Il nostro pellegrinaggio-viaggio si chiude (in realtà dilata gli orizzonti dell’esperienza e invita a ricominciare, a ripercorrere ancora spazi e tempi “fissati”, trapuntati nelle tele/carte/arazzi impunturati, in simboliche geometrie sacre) con la parete istoriata da trame, linee, reti, spirali mozzate, Landscape.(e un moto del cuore traduce paesaggio – che è ciò che tu vedi, con gli occhi della mente e del cuore, non panorama, la vista che appare agli occhi di tutti) E’ la mia parete, quella che accoglie Rolling, e che nell’insieme ho intitolato “paesaggi interiori” (È una bella e suggestiva definizione della filosofa spagnola Maria Zambrano, da me particolarmente amata)
Il giorno dopo, mentre visito, rapita, la mostra di Maria Lai al MAXXI di Roma (Maria Lai Tenendo per mano il sole 2020), penso alle tele di Caterina e al mio affetto, alla mia stima e alla mia gioia e mi sento parte in causa, condividendo nell’interiorità la frase della Lai “L’arte è il gioco degli adulti”. [Arcangela Miceli]
Testo di Lorenzo Rubini mostra personale ORDINE IMPERFETTO
Galleria Forzani – Terni 2019
In questi anni l’artista intraprende un percorso introspettivo profondo che le è utile a raggiungere quell’esperienza e maturità artistica presente nella poetica e nella tecnica dei suoi ultimi cicli.
La svolta importante si nota nella serie Pre-Historic del 2017, produzione decisiva per la carriera dell’artista, le opere che ne fanno parte attingono da quelle passate ma creano un modus operandi molto più personale creando una connessione tra quanto creato prima e quanto arriverà negli anni successivi. Pre-historic è un rimando a segni di civiltà passate ma detiene in se una sguardo estremamente contemporaneo sulla questione eternamente aperta del linguaggio e della sua interpretazione. Le tracce di questa serie mescolano questioni legate alla comunicazione ad altre puramente estetiche e segniche, il senso di queste viene reso meno essenziale dalla resa formale dell’opera e dagli strati della materia, divengono parte integrante della storia, essenziali nella loro illeggibilità.
Diagram (2017-2018) è la fase successiva alla precedente serie, quel passaggio che l’artista compie inevitabilmente per arrivare all’ultima produzione, la stratificazione della materia si fa più fitta mentre appare agli occhi una struttura più lineare dei lavori precedenti, un rinvio ad uno schema che però non ordina, forse una ricerca più programmata e un desiderio di esercizio sul tempo impiegato a realizzare l’opera stessa, elemento questo essenziale per la lettura degli ultimi lavori. Nella serie Mosaic, realizzata a partire dalla fine del 2018, gli essenziali segni accostati tra loro non sono più letti come misteriosa comunicazione ma come tasselli temporali. I lavori divengono descrizione di un fluire incessabile, la stratificazione non è più soltanto accennata e flebile ma quasi forzata, spinta o estrapolata e solo la luce può facilitarne la lettura totale. [Lorenzo Rubini, 2019]
Caterina Ciuffetelli torna alla Galleria Forzani con la sua ultima personale “Ordine Imperfetto”; una selezione accurata di lavori che dal 2017 inquadrano bene la sua ultima produzione.
C’è una questione eternamente aperta che infesta le menti di scienziati e artisti allo stesso modo, imperscrutabile quanto ammaliante risulta logorante per costituzione, il tempo. Acquistando quasi valore economico il tempo si spende ma mai riesce ad essere valutato o barattato in nessun modo. Questo ci spinge a cercare una merce di scambio talmente preziosa da poter arrivare ad aggiudicarsi una sua porzione in più, un momento. L’opera d’arte è una delle rare materialità che può avvicinarsi a questo bisogno, l’opera seppur possa consumarsi tenendoci eternamente legati a quel dubbio sul motivo della creazione, o meglio ancora l’idea creativa che la muove, avvicina l’artista al suddetto momento.
Caterina Ciuffetelli partecipa alla ricerca a modo suo, nel suo studio detiene il segreto dei segni che ricalca ad uno ad uno e che divengono poi le cellule del lavoro concluso. Il tempo necessario alla completa esecuzione è eternamente vario, ogni frottage è realizzato senza fretta ma necessariamente.
I tre cicli presentati in mostra sono ricordi di momenti diversi. Prehistoric è un rimando a segni di civiltà passate ma detiene in se uno sguardo estremamente contemporaneo sulla questione eternamente aperta del linguaggio e della sua interpretazione. Le tracce di questa serie mescolano questioni legate alla comunicazione ad altre puramente estetiche e segniche, il senso di queste viene reso meno essenziale dalla resa formale dell’opera e dagli strati della materia, divengono parte integrante della storia, essenziali nella loro illeggibilità. E questi segni da molti decantati come linguaggi perduti sono forse i segni di un “tempo” perduto? La sabbia utilizzata da Caterina è sabbia di clessidra, in “The Hole 2” ritroviamo proprio quel passaggio attraverso il quale la sabbia scorre.
Durante uno dei nostri incontri finimmo inesorabilmente per parlare dei graffiti di Lascaux, seppur non in quanto questi siano stati fonte di ispirazione dei suoi lavori ma per quanto possano essere stati uno stimolo alla stratificazione temporale e sintomo delle vicende che hanno portato alla concezione delle ultime opere.
Leggiamo in Diagram quel passaggio che l’artista compie inevitabilmente per arrivare all’ultima produzione, la stratificazione della materia si fa più fitta mentre appare agli occhi una struttura più lineare dei lavori precedenti, un rinvio ad uno schema che però non ordina, forse una ricerca più programmata e un desiderio di esercizio sul tempo impiegato a realizzare l’opera stessa, elemento questo essenziale per la lettura della serie Mosaic, nella quale gli essenziali segni accostati tra loro non sono più letti come misteriosa comunicazione ma come tasselli temporali. I lavori divengono descrizione di un fluire incessabile, la stratificazione non è più soltanto accennata e flebile ma quasi forzata, spinta o estrapolata che solo la luce può facilitarne la lettura totale.
Caterina lascia la sua impronta utilizzando segni che sono estremamente personali, suoi e di nessun’altro. Ci manifesta la sua presenza, forse ribadisce che non è importante sapere se questo tempo è già trascorso, e ci sta dimenticando, ma ci esorta a lasciare tracce di noi; dalle azioni più concrete alle testimonianze più effimere interveniamo noi stessi a modellare gli strati temporali e l’opera d’arte è spesso lasciare un residuo, è ambire al Tempo totale tramite l’istante, è chiedere l’immortalità. [Lorenzo Rubini,]
“Il tempo e il suo Ordine imperfetto” di Alessio Crisantemi su Exibart ORDINE IMPERFETTO – Galleria Forzani di Terni, 2019
Due anni di lavoro, scanditi da tre diversi cicli artistici ed espressivi. È questo l’ ”Ordine imperfetto” di Caterina Ciuffetelli, proposto dalla Galleria Forzani di Terni, che dopo il successo della mostra omaggio al francese Pierre Soulages, messa in scena in occasione del Festival GemellArte, torna a fare il pieno di pubblico con la personale di un’artista locale, suddivisa in tre momenti espositivi, in ognuno dei quali il tempo gioca un ruolo fondamentale.
Nel primo ciclo, intitolato Prehistoric, vi è un esplicito rimando a segni archeologici, di civiltà passate ma con uno sguardo al contemporaneo. Il secondo, dal titolo Diagram, forse il più “intimo” per l’artista, c’è una ricerca e una risposta a un bisogno interiore di ordinare la realtà, sistematizzandola. Da qui, forse inevitabilmente, si arriva al terzo ciclo, Mosaic, composto da tessere ricavate da un lavoro su carta in frottage.
Il tempo, dunque, è il vero filo conduttore delle tre diverse espressioni artistiche. Dai segni preistorici che, interpretati come linguaggi perduti, portano a una riflessione sul tempo perduto, al richiamo più esplicito offerto dalla sabbia, usata dall’artista in opera come The Hole, in cui è evidente il richiamo alla clessidra, emblema dello scorrere del tempo.
Ma il tempo è anche in grado di dettare l’ordine delle cose. Com’è evidente in Diagram, in cui l’artista esegue una stratificazione della materia che si fa più fitta, proponendo una struttura più lineare dei lavori precedenti. In un rinvio a uno schema che però non ordina, «Forse una ricerca più programmata e un desiderio di esercizio sul tempo impiegato a realizzare l’opera stessa – spiega il curatore, Lorenzo Rubini – elemento questo essenziale per la lettura della serie Mosaic, nella quale i segni accostati tra loro non sono più letti come misteriosa comunicazione ma come tasselli temporali. È qui che i lavori divengono descrizione di un fluire incessabile, la stratificazione non è più soltanto accennata e flebile ma quasi forzata, spinta o estrapolata che solo la luce può facilitarne la lettura totale». [Alessio Crisantemi]
Quadrante – frottage su carta su cellotex – cm 100×120 – 2019
LE STRATIGRAFIE IMMAGINIFICHE DI CATERINA CIUFFETELLI di Nicolò D’Alessandro 2017
Conoscevo la sua produzione più antica, attenta al segno e alla memoria di esso, conosco ora le ultime proposte. I diciannove lavori di piccolo formato, tra frottage, cere e monotipi, restituiscono la sua attenzione all’indagine che conduce da tempo. In un gioco di rimandi e di segni, vuole imporre nuovi significati e suggestioni evocanti il valore insopprimibile del segno inteso come traccia, come testimonianza. Riconosce il valore della materia controllata e ne fa un uso espressivo convincente attraverso la manipolazione con stratificazioni e interventi mirati. Mi pare di capire che dichiari un forte rapporto con la scrittura e soprattutto con il segno affidandogli molta parte delle sue intenzioni espressive. Con disinvoltura attraverso sapienti impronte stratigrafiche, Caterina Ciuffetelli dialoga con l’osservatore in un percorso narrativo tra pittura e suggestione letteraria. Sistematiche contaminazioni di generi e linguaggi diversi, (frottage, monotipi) conducono ad esiti formali interessanti, articolano un viaggio per inediti percorsi.
L’artista per sovrapposizioni monocromatiche e velature intercetta ed evidenzia, strato sopra strato, griglia dopo griglia, il flusso continuo delle trasformazioni e dei rimandi segnici. Supportati questi ultimi anche da strumenti abrasivi e lacerazioni che ci conducono alla cultura del particolare e del frammento rivelatore di luoghi immaginifici e di spazi mai conosciuti. Raccontano di oblii e di suggestive figurazioni dimenticate. Erratiche superfici generano metafore di contaminazioni di senso e di linguaggi; diventano allegorie di idee estranee alla pittura in sé, inquietanti segnali urbani, frammenti di civiltà perdute, racconti di particolari trascurati della realtà urbana. Quasi volesse, l’artista, sollecitare il senso di un passato da recuperare.
Queste nuove esperienze, sul tracciato ideativo che si dipana ed evolve dalle opere precedenti, riportano Caterina Ciuffetelli all’interno di una pittura di pensiero colto e consapevole. La tavolozza dell’artista concettuale è sostenuta da neri, bianchi e ocra che diventano non colori, suggerimenti di colore, che agiscono negli ambiti di una non pittura, di una dichiarata condivisione delle precarie certezze della nostra confusa e problematica stagione umana.
Per quegli incomprensibili processi del pensiero che portano ad associazioni e rimandi ho avvertito nella sua ricerca, e non può essere solo un’impressione, una certa tragicità di fondo nell’espressione materica da lei giocata con raffinata calibratura nelle impronte del dolore sulla superfice. Appaiono come ferite della terra che metaforicamente rimandano alle impronte del dolore su un volto sofferente.
I titoli dei lavori che non sono casuali ma rivelatori di un progetto ben chiaro all’artista, disvelano intenzioni e interessi ben definibili. The hole, (il buco) presuppone un interno e un dopo e suggerisce contenuti ignorati legati all’attesa e al desiderio. Mentre la forma conchiusa dell’opera Random, (casuale) tra l’accidentale e il non voluto, tiene in debito conto l’equilibrio formale della struttura. Con Primordial (primordiale) e in Preistoric (preistorico), il richiamo al passato, affidato a probabili graffiti nelle opere su carta danno la misura dell’interesse dell’artista per il valore che si può attribuire al segno come traccia di un trascorso storico e se a questi si aggiunge One by one (uno per uno) che rinvia alla narrazione di un passato non specificato ma definitivo, l’intenzione appare chiara. Landscape (paesaggio) credo voglia affrontare tra casualità ed invenzione, tra graffi, segni e lacerazioni, il tema e l’analisi della geografia umana percepita con intenti simbolici e culturali in uno spazio descrivibile dalla forma rettangolare conchiusa in un territorio essiccato ed arido. L’altra opera concettuale Diagram (diagramma), convenzionale rappresentazione di una struttura in fase di sviluppo, si esplicita e completa con Double question, one answer (doppia questione, una risposta) come adeguata riflessione attorno ad un argomento da esaminare e risolvere affidandolo ad una unica soluzione.
Appaia evidente, se non scontato, che le suggestioni e gli spunti emotivi, e la forza evocativa che questi lavori mi offrono, potrebbero costituire per un critico militante, io non lo sono, una ulteriore lettura di correlazioni e rimandi culturali da approfondire.
Per non apparire, agli occhi di Caterina Ciuffetelli, un “critico” acritico mi avvalgo degli apparentamenti di altri artisti che certamente fanno parte del bagaglio culturale dell’artista la quale li tiene in debito conto. Mi convinco che l’artista, poiché l’arte nasce dall’arte e dalla sua dialettica, come opportunamente enunciava Niki de Saint Phalle, abbraccia e comprenda altre esperienze storicamente verificate come quelle di un materico Antoni Tàpies dai densi impasti attraversati da impronte, crepe e rugosità che vogliono non riprodurre pittoricamente la realtà, ma la realtà stessa. Mi riferisco anche alle geometrie conchiuse di un Mark Rothko sostenute da componenti emotive, ed ancora al rapporto dialogico tra l’opera e la materia delle esperienze informali di Wols, Michaux, Fautrier, Dubuffet, sino a Celiberti. Non escludendo Alberto Burri che ha indagato sulla qualità espressiva della materia usurata.
Esperienze fondanti di artisti che ci hanno preceduti credo costituiscano l’ossatura e il riferimento necessario della sua interessante ricerca sostenuta da sempre da velature e sovrapposizioni nelle composizioni rigorosamente simmetriche basate sugli archetipi, quadrato e cerchio, come forme conchiuse e definitive. [Nicolò D’Alessandro]
Testo di Marco Testa mostra personale ABSTRACT RestaurArte – San Gemini (Tr) 2007
Caterina Ciuffetelli (L’Aquila) ha frequentato in Umbria, dove vive e lavora, lo studio dello scultore Umbro Battaglini, scomparso recentemente.
Un vero e proprio work in progress caratterizza l’opera della Ciuffetelli, attraverso cui il segno – piccolo o grande, curvilineo, spezzato, scavato o appena graffiato a rilievo, comunque restituito mutevole dalla luce – diventa elemento caratterizzante del suo modo di rappresentare se stessa e il mondo in forme astratte. Il segno, che s’impone sulla materia dello sfondo e che diviene esso stesso materia, dà forma ad un linguaggio che sembra maturare da una ricerca, quasi archeologica, di essenze residuali. Il segno, inoltre, è tracciato su un supporto in cellotex, materiale ottenuto da segatura e colla e quindi riconducibile alla naturalità del legno, che è scelto per tornare alle radici del proprio iter pittorico e insieme all’origine dell’esistenza.
La forza di Caterina Ciuffetelli, tuttavia, sta nella sua peculiare capacità di infondere vita e vitalità alle forme: da geometriche, esse diventano segni calligrafici, che ora si stagliano, ora si conformano, variando nel tempo, nella luce, nei colori. Così le sue geometrie si fanno magmatiche, palpitano alla luce, acquistano spessore materico e, giocando con la luce in un rapporto costante tra lucido ed opaco, come in un ludico nascondino, si costituiscono come forza vitale, dominata da squisita sensibilità coloristica. Nella serie Langage (2007), la luminescenza del tratto diviene humus, essenziale per avvicinarsi ad un mondo fisico ed animale che lascia le sue tracce perché rimangano nel tempo, benché sembra debbano dissolversi rapidamente.
I segni serpeggiano su spiagge umide, memori di un nostro passaggio. La forma diviene sempre più materia; gli stiacciati emergono senza invadere lo spazio circostante, che si ricopre di campiture di sabbie diverse, con tatto, con eleganza.
La mente solitaria, in un soffio di vento, è trasportata da navi immaginarie verso deserti sconosciuti. [Marco Testa]
“Inventa dunque nella tua lingua se puoi o vuoi
comprendere la mia”
Jacques Derrida
LINGUAGGIO E LANGAGE di Maria Caterina Guerra mostra personale Langage a cura di Indisciplinarte, Fat Gallery, Polo Museale Ex-Siri, Terni 2010
Il lavoro del traduttore, che opera la conversione da un linguaggio sconosciuto ad un linguaggio familiare, è una delle metafore più prossime del vivere di ogni uomo, poiché ogni uomo, inconsapevolmente, si trova a dar voce all’enigma della propria soggettività attraverso le forme definite ed universali della lingua ed avvertirà, a tratti, l’inadeguatezza delle parole che usa nel momento stesso in cui esse vogliono descrivere stati d’animo, o vogliono restituire le suggestioni emanate da un sogno o da un’opera d’arte. Qualcosa si “perde”, proprio laddove è più urgente il bisogno di chiarire e dominare un sentimento, e le parole evidenziano un’assenza, un’alienazione rispetto all’oggetto sconosciuto che anelano possedere. Paradossalmente, è proprio a partire da questa alienazione che si apre la frontiera della ricerca di noi stessi, perché riconoscendo lo scarto tra linguaggio dell’inconscio e linguaggio cosciente, riconosciamo che c’è un’istanza che ci precede e guida il nostro parlare. Con l’evento del lapsus o della dimenticanza, possiamo accorgerci che noi non parliamo, ma “siamo parlati” dalla nostra soggettività profonda, oltre le regole del discorso oggettivo. Le parole non svelano, ri-velano: non scoprono mai definitivamente il vero significato di ciò che le fa affiorare, anzi, finiscono sempre per tradirlo, eppure sono l’eco più importante del nostro essere. Sono un “velo” che si apre e si richiude continuamente sull’enigma che ognuno porta con sé, e solo chi non le considera come gabbie tramite cui archiviare ogni significato, tributa alle parole la loro sacralità primitiva.
Nelle opere della serie Langage di Caterina Ciuffetelli è proprio il senso essenziale della sacralità del linguaggio ad avanzare verso lo spettatore, con tutta l’immediatezza dell’impressione visiva. Non “sono” una lingua, ma evocano il luogo silenzioso che sta al margine di ogni linguaggio, oltre i significati attribuiti convenzionalmente alle parole e alle strutture sintattiche. Inutile, dunque, cercare una corrispondenza tra la successione calligrafica e lo svolgimento di un pensiero logico; inutile indagare su regole legittime di decodifica o traduzione: i Langage sono pura presenza di significante e si affacciano su quella dimensione limite del “non detto”, immanente rispetto ad ogni parola scritta o pronunciata, che riguarda l’inafferrabile contingenza del sentire, e che è allo stesso tempo al di là dell’orizzonte e al di qua della nostra pelle. Il segno della Ciuffetelli, infatti, non appare come depositato stabilmente sulla tela, ma sembra affiorare dal sottosuolo e sul punto di sprofondarvi nuovamente, in relazione ad una rete di forze causali su cui l’artista stende una sabbia opalescente per mantenerne il segreto.
Il carattere primitivo dei Langage, che va colto ben oltre la somiglianza visibile con le grafie di epoche remote, risiede nell’esistenza stessa del segno. Ciuffetelli mette in scena il gesto arcano di ogni uomo che sulla sabbia lascia delle tracce: libero da qualsiasi vincolo con la dialettica simbolica della lingua, egli non scrive qualcosa di definibile, ma insiste semplicemente sul proprio essere al mondo, hic et nunc, e sulla propria irripetibile identità.
In questo senso le opere Langage richiamano alla sacralità del linguaggio: non sono passibili di traduzione, perché estranei al sistema delle regole linguistiche, eppure, con la loro peculiare calligrafia, la schietta consistenza materica e la mutevole reattività alle vibrazioni luminose, affermano la singolarità psichica e carnale di chi li ha creati. Appartengono alla dimensione del non detto, ma sono tutt’altro che muti: rinunciano al limite della parola e offrono in dono un silenzio vivo entro cui si mostra il senso dell’indefinibile. [Maria Caterina Guerra]
Testo di Mino Lorusso 2003
Che cosa resta della lezione impartita dall’arte astratta? E’ ancora attuale il tentativo – come direbbe Léon Gischia – di “sostituire al reale imitato un reale immaginario”? Non solo: si può continuare a parlare di originalità…? Sono domande ricorrenti da quando la pittura dell’ultimo decennio ha imboccato la strada del realismo o dell’iperrealismo. Certo non è affatto casuale che la fine del dogmatismo, dell’ideologia e del mondo delle certezze abbia coinciso con il ritorno della “pittura reale”. Tuttavia il rapporto tra l’artista e la realtà… non si presta a canoni, sebbene il mercato (appendice necessaria, ma non determinante dell’arte) continui a dettare le sue regole. L’arte é sinonimo di libertà…, se è davvero tale, non ha confini se non nella possibilità… di ricercare – e di continuare a ricercare – le forme espressive apparenti o nascoste della realtà….
La tesi secondo la quale il dogma finisca per generare la “fuga dalla realtà…” e il dubbio, al contrario, il “ritorno alla realtà…” è vera solo in parte. In campo artistico il “pendolo della storia” più che seguire le convenzioni le crea e la creazione non cede alle sirene del conformismo, ma le supera. Ecco perché, sebbene il mercato non lo riconosca, l’arte astratta è più viva che mai. Il “reale immaginario” mantiene intatta dopo quasi un secolo di storia la sua originalità… e, con essa, il suo immutato fascino.
Caterina Ciuffetelli è legata a quel mondo libero e “mentale” che coniuga colore, materia e segno. Nel suo caso, come direbbe Argan, “non è la pittura a fingere la realtà…, quanto la realtà… a fingere la pittura”. Fin dalle sue prime esperienze pittoriche, tenta di armonizzare il colore e la forma, la forma e il segno, il segno e il movimento. La realtà…, intesa come desiderio costante da soddisfare e sempre irraggiungibile, non è mai casuale, figlia del caos, ma è necessaria, precostituita secondo un dettame armonico.
Inutile ricercare il lei i riferimenti pittorici. Certo, la Ciuffetelli guarda a Burri e alla Accardi con grande ammirazione, tuttavia riesce ad elaborare un proprio patrimonio ideale del tutto originale; patrimonio sul quale indaga e incide, incide ed indaga in una continua e costante ricerca. In lei la complessità… si semplifica e magicamente, grazie al colore, diviene poesia.
E’ un raro esempio, e per di più felice, di riscoperta dell’invisibile. [Mino Lorusso]